“TRANS BALCANI”.

Tutto ebbe inizio alcuni anni fa, durante uno dei miei viaggi di scialpinismo all’estero in compagnia di alcuni clienti.

Eravamo seduti al bar dell’albergo con i bicchieri colmi di birra in mano, dopo una bellissima gita in montagna, quando uno dei miei clienti mi chiese di organizzare un bel giro in mountain bike da qualche parte. Un giro che fosse allo stesso tempo culturale ed enogastronomico.

Pedalavo ogni tanto con i ragazzi del C.A.I. di Bormio. Si usciva il mercoledì sera per raggiungere qualche “monte”, così come venivano chiamate le case di montagna di proprietà di qualcuno dei ragazzi. Si mangiava un abbondante piatto di pastasciutta, il resto della pancia si riempiva di birra e poi … giù, in una mirabile discesa alla luce della pila frontale verso Bormio.

Ma un tour di più giorni con un itinerario culturale ed enogastronomico …?!?  Pensai d’istinto alla Bulgaria.

La Bulgaria è il mio Paese d’origine e posso dire di conoscerne bene la storia, la cultura, le città d’arte, i buoni sapori della cucina e gli ottimi vini.

La meta c’era. Durante l’inverno studiai sulle cartine un possibile percorso. L’itinerario attraversava le montagne più alte della Bulgaria, seguendo strade sterrate e passando da importanti monasteri, e si concludeva a Melnik, città famosa nei secoli scorsi per il suo fiorente commercio dei vini locali.

Non restava che revisionare la vecchia mountain bike, caricarla in aereo e atterrare a Sofia. Detto, fatto.

Parto dalla capitale al mattino e ben presto la strada mi proietta nell’intenso verde dei boschi del Monte Vitosha.

Quasi subito mi scontro con il problema più insidioso del viaggio, che d’ora in poi mi perseguiterà sulle strade della Bulgaria. Il Paese è molto cambiato durante il passaggio dal comunismo al libero mercato. Le cascine e le cooperative statali sono state abbandonate a causa della non redditività, e le strade che portavano verso tali strutture in pratica non esistono più.  

Con qualche aiuto dal cielo imbocco la via giusta e arrivo al paesino di Dren, punto prefissato per il pernottamento.

Sono ospite in una fattoria a gestione famigliare, che offre due confortevoli appartamentini e un piccolo ristorante dove servono piatti di produzione propria. Dopo una colazione con latte fresco, burro e formaggi fatti in casa e una specie di torta ancora calda, saluto la famiglia e mi metto di nuovo sui pedali.

La strada mi porta attraverso campi agricoli e piccoli, isolati paesini di campagna.

Davanti  a me s’innalza la catena del Monte Rila (la montagna più alta della penisola balcanica), che dovrò affrontare nei giorni successivi, superando un passo di 2166 m.

Seguendo le strade immerse in boschi di pini, faggi e noccioli, arrivo nella cittadina di Rila, villaggio natale di Sant’Ivan di Rila.  A venti chilometri da qui, nel cuore dell’omonimo massiccio montano, l'eremita Ivan Rilski fondò nel X secolo il più grande e famoso monastero della Bulgaria, oggi sotto la protezione dell’ U.N.E.S.C.O. Qui nel XVIII secolo s’incontrarono le due più famose scuole di pittura della Bulgaria: la scuola di Bansko e la scuola di Samokov. Nonostante vi abbiano lavorato più di cinque pittori, tutti gli affreschi sembrano fatti dalla stessa mano.  La biblioteca del monastero è molto ricca. All’interno sono conservati più di 20 000 volumi tra antiche agiografie, vangeli, incunaboli, oltre ad antichi manoscritti, icone, doni ricevuti da conventi stranieri, diplomi regali a firma dei sultani.

Trovo alloggio in uno degli alberghetti vicino al monastero. Nel menù del ristorante non manca la trota alla griglia, specialità di questa zona ricca di corsi d’acqua.

Parto in una vallata in dolce salita. A un ponte attraverso il torrente, svolto a destra e inizio a salire verso il Rifugio Makedonia, 2166m, che raggiungo all’ora di pranzo. Discesa per più di 15 km, poi una breve salita e di nuovo discesa. L’orizzonte davanti a me è chiuso dalla catena del monte Pirin, il cui Parco nazionale è incluso nella Lista del Patrimonio dell'Umanita'.

Secondo la leggenda il monte Pirin era la dimora del dio Perun (divinità principale degli antichi Traci),  che viveva in un castello di marmo in cima alla montagna. La catena del Pirin è infatti composta da marmo bianchissimo, che all’alba riflette la luce del sole facendola sembrare innevata anche d’estate.

Pochi chilometri di leggera salita e raggiungo la cittadina di Bansko, la più nota località sciistica dei Balcani. La cittadina è ricca di presenze d'arte e di architettura risalenti al XVIII-XIX secolo, quando fiorì una delle più importanti scuole del Rinascimento balcanico.

Per ripristinare le forze, assaggio uno dei gustosissimi e deliziosi piatti del ristorante “Bariakova Mehana”: vincitore del premio d’oro per la migliore cucina in Bulgaria. Ne valeva la pena.

Da Bansko la strada si snoda nei boschi del Monte Pirin verso la città di Melnik. Mi sfogo in una lunghissima discesa fino al paesino di Rojen, supero tre tornanti di ripida salita “spacca gambe” e, tra il verde degli alberi, inizio a intravedere il tetto del monastero di Rojen, uno dei più antichi della Bulgaria, costruito nel XII secolo dopo Cristo. La visita trasmette un senso di pace e di semplicità e, in questo benefico stato d’animo, riprendo la strada e proseguo ancora per  6 - 7km, fino ad arrivare alla cittadina di Melnik, famosa a partire dal tardo medioevo per gli ottimi vini, pare apprezzati anche da Winston Churchill.

Nei dintorni della città si possono ammirare spettacolari formazioni di sabbia dalle forme più dissimili, che ricordano enormi funghi, torri e obelischi.

Mi fermo a pernottare in un piccolo albergo che ho conosciuto durante i precedenti viaggi di trekking.

Mi sveglia l’alba che entra dirompente dalla finestra. Sento un po’ di nostalgia, oggi il mio giro è giunto al termine.

Negli ultimi giorni ero in piena sincronia con la mia bici. Sentivo le mie gambe forti e mi sembrava di poter pedalare all’infinito. La pedalata quotidiana è diventata una cosa fisiologica per me e oggi dovrò farne a meno.

Esco sul terrazzo del cortile interno e inizio a scendere dalle scale per andare a fare colazione.

Mi fermo. Con le narici sento un profumo che conosco. Un profumo leggero, che viene da lontano, ma è inconfondibile. Faccio ancora due gradini e mi fermo di nuovo. E’ profumo di mare. Sì, il Mar Egeo è solo a 70 – 80 km da qui in linea d’aria.

L’idea prende forma: e se la mia pedalata finisse al mare invece che qui? Non ci vuole tanto per convincermi.

Telefono all’amico che oggi dovrebbe venire a prendermi in auto per riportarmi a Sofia e gli chiedo se può venire a recuperarmi fra qualche giorno in Grecia. Può.

Si riparte. Pedalo sulle strade secondarie che collegano i vari paesini di pianura e in breve sono alla frontiera.

So che subito dopo il confine ci sono le montagne della Grecia, ma non ho una cartina della zona.

Mi consolo pensando che se ci sono le montagne, ci saranno anche le strade sterrate. Basta solo trovarle.

Attraverso la frontiera, pedalo per una decina di km sull’asfalto e mi fermo in un bell’albergo.

Grazie ai consigli del proprietario dell’albergo, in mattinata imbocco una delle bellissime strade sterrate sulle montagne greche. Giungo su un passo. Il panorama è stupendo. Mi sento libero e felice.

Sorrido. Mi viene in mente il film ” Forrest Gump” quando dice: -“Un giorno ho iniziato a correre e così sono arrivato sulla costa del Pacifico. Mi sono detto: -Come? sono già qui, allora perché non andare sulla costa atlantica? e ho continuato a correre. Quando avevo sete bevevo. Quando avevo fame mangiavo. Quando ero stanco dormivo.”

Sorrido di nuovo e mi impegno in una bellissima discesa. Riparto dopo il pranzo, ma per tante volte perdo la strada. Seguo le precise indicazioni di un pastore che incontro sui pascoli e in serata arrivo a Vrontù.

Il villaggio è abbastanza grande, ma non trovo nessun albergo.

Decido d’entrare in un bar e chiedere se ci sarà qualcuno che mi può ospitare per questa notte.

Entro e saluto.                

La proprietaria del bar, una robustissima signora, si gira. Il suo viso si allarga ancora di più in un sorriso, mi guarda con occhi divertiti e mi dice:

-“Ti kanis edo meta esorouha?” (“Cosa fai qui in mutande?”). Sono in pantaloncini da ciclista.

Da lei apprendo che nel paesino c’è un alberghetto costruito da poco tempo, ma si trova un po’ fuori, a un paio di km. Riprendo la bicicletta e velocemente arrivo all’albergo.

Oggi salgo l’ultimo passo di montagna e scendo nella vallata di Drama.

Alternando strade sterrate e asfalto, paesini e prati, nel primo pomeriggio arrivo a Lefkotea.

Ho fame, mi fermo in una taverna sotto l’ombra di un grandissimo noce. Vicino a me sono seduti quattro uomini vestiti da operai che finiscono il pranzo.

Dalla taverna esce una persona e scusandosi mi dice che è un po’ tardi, che la cucina è già chiusa, ma che mi può preparare un’insalata greca. E’ meglio di niente. Entro per lavarmi le mani e mi fermo stupito sulla porta.

La taverna assomiglia di più a un negozio di strumenti musicali. Su tutte le pareti sono appesi bozuki e baglamas, i tipici strumenti greci a corde. Vicino al bar un uomo e un ragazzo stanno accordando due strumenti.

Esco e vedo due uomini che raccolgono da terra degli oggetti che mi appartengono e che sono caduti dal tavolo a causa del vento. Li ringrazio e mi scuso per il disturbo. Mi chiedono di dove sono e mi invitano a sedermi con loro. All’improvviso dalla taverna si sente della musica: è il bozuki accompagnato dal suono del baglamas. Assomiglia al suono ritmico e dolce delle onde che dal mare raggiungono la spiaggia.

Uno degli uomini si alza, apre le braccia in alto e inizia ballare. Sembra un falco in volo.

L’uomo fa il giro intorno al tavolo, inclina il suo corpo e la testa in avanti,  s’inginocchia su una gamba e con un gesto rispettoso della mano destra, invita un suo compagno alla danza.

L’altro si alza, interpreta alla sua maniera il volo del falco e lascia spazio invitando il terzo. Ora tocca a me e non mi tiro indietro. Provo una sensazione di estrema leggerezza, lascio che il corpo e la mente trovino il proprio ritmo. Ci salutiamo con l’augurio di rivederci ancora. Chissà.

Dalla vallata di Drama entro nella valle di Strimona, attraverso pacifiche strade agricole che delimitano ricche coltivazioni, e giungo sulle spiagge del Mar Egeo nel tardo pomeriggio.

Mi sento estremamente leggero e percorro veloce i 10 km. che mi separano dall’albergo ad Asprovalta e da un tuffo nel mare. Cena a base di pesce e resa senza condizioni al sonno.

Prima di partire per Ouranopoli aspetto l’orario di apertura di una ferramenta. Mi serve una chiavetta a tubo N° 14, perché rischio di perdere il bullone della chiusura del movimento centrale.  Dopo un servizio impeccabile reso per più di 20 anni, ieri la bici ha iniziato a darmi dei problemi.

Acquisto la chiave, stringo un po’ di bulloni e per una quindicina di chilometri costeggio il mare seguendo le spiagge d’Asprovalta e Stavròs.

Dopo Sravròs incontro la statale che porta a Ouranopoli, l’ultimo paese prima della frontiera con i monasteri del Monte Athos. La statale non è molto trafficata e si viaggia bene, ma la bicicletta mostra segni di stanchezza. In effetti questo tour è un po’ impegnativo per un’anziana signora come lei. Ogni 5-6 km. mi devo fermare per avvitare il bullone.

La bici tiene ancora fino al bagno al mare poi, entrando a Ouranopoli alla ricerca di un albergo, devo portarla a mano.

In una via secondaria una costruzione semplice ma pulita, circondata da cespugli in fiore, attira la mia attenzione. Mi avvicino e leggo una tabella sul cancelletto d’entrata con la scritta “ZIMMER”. Seduti nel giardinetto, tre persone parlano in tedesco tra di loro. Non ho dubbi, ho trovato il mio albergo.

In giro per il mondo i turisti tedeschi segnano, con assoluta precisione, il giusto rapporto qualità-prezzo.

Chiacchierando con la ragazza dell’albergo scopro che è appassionata di corsa ed è reduce dalla maratona  d’Atene.

Le racconto come e da dove sono arrivato e guadagno la sua stima e il 50% di sconto sul prezzo dell’albergo. Non male.  Il mattino successivo salgo su un’imbarcazione che fa il giro intorno al Monte Athos.

Il Monte Athos con i suoi monasteri è il simbolo dell’unione delle chiese cristiano ortodosse.

E’ come il Vaticano in Italia, uno stato nello stato.

Per entrare nel suo territorio è richiesto il visto, che si ottiene su richiesta in un periodo di 3-4 mesi, per cui mi accontento del periplo del promontorio a bordo di una nave .

Torno nel pomeriggio e davanti all’albergo vedo la jeep del mio amico. Velocemente carico l’esiguo bagaglio e sono pronto per partire. Appoggiata al muretto vedo la bicicletta. No, non posso abbandonare la mia compagna d’avventura. Chiedo al mio amico di abbassare i sedili e la carico sull’auto.

Al mio rientro in Italia ho acquistato una nuova e bellissima mountain bike.

Ora la mia vecchia bici è nella casa di mio padre. La uso per andare a comprare il pane quando sono a casa in Bulgaria. Ogni tanto mi capita di avvitare il bullone del movimento centrale e ogni volta sento un moto di nostalgia che fa capolino, nel ricordo della bellissima avventura che abbiamo vissuto insieme.     

 

P.S.

Grazie a questo viaggio ho scoperto un nuovo modo di esplorare e conoscere il mondo. E mi sono definitivamente innamorato della bicicletta.

                                                                                                                                                                            Plamen Shopski

                 

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